Nel 1896 il fisico francese Enri Bequerel scopre la radioattività lavorando sulle sostanze fluorescenti.
Una lastra fotografica avvolta da carta nera, chiusa in un cassetto, con sopra un cristallo di un sale di uranio era rimasta impressionata (con lo sviluppo si notavano numerose macchie).
Qualunque cosa fosse stato ad attraversare la carta non poteva dipendere dalla luce perché la lastra era rimasta completamente al buio.
Bequerel concluse che il cristallo di uranio emetteva dei raggi spontaneamente e questi raggi erano del tutto invisibili.
Il lavoro in questo campo gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1903.
Nel 1897 Marie Curie si dedicò allo studio dei raggi emessi dai sali di uranio scoperti da Bequerel. Verificando la persistenza del fenomeno con una combinazione qualsiasi di uranio, ella constatò che l'intensità della radiazione era proporzionale alla concentrazione di uranio nel sale e indipendente dalla temperatura.
Marie cercò altre sostanze che fossero capace di emettere i "raggi dell'uranio". Passando al vaglio i campioni di molti elementi e minerali contenenti gli elementi che erano noti a quel tempo, essa scoprì che anche il torio emetteva le stesse radiazioni dell'uranio.
La giovane fisica polacca aveva osservato che un minerale di uranio, la pechblenda, emanava una quantità di radiazioni molto maggiore di quanto potesse essere giustificato dal suo contenuto di uranio: era come se nel minerale fosse presente un altro elemento, non ancora conosciuto, molto più attivo dell'uranio.
Alcuni fisici ritennero che essa fosse su una strada sbagliata, ma il marito, Pierre Curie, fu d'accordo con lei.
"I fisici con cui abbiamo parlato credono che noi abbiamo fatto un errore nella sperimentazione e ci invitano ad essere più accurati. Ma io sono convinta che non abbiamo sbagliato", così scrisse Marie.
Nel 1898 Marie e Pierre Curie annunciarono la presenza di un nuovo elemento chimico: "Crediamo che la sostanza che abbiamo tratto dalla pechblenda contenga un metallo non ancora segnalato, vicino al bismuto per le sue proprietà analitiche. Se l'esistenza di questo metallo verrà confermata, noi proponiamo di chiamarlo polonio, dal nome del paese di uno di noi."
Scomponendo la pechblenda nei suoi elementi costitutivi, si accorsero che non ce n'era uno, ma due che causavano gli alti livelli di "raggi dell'uranio". Il primo di questi elementi fu chiamato polonio e il secondo, che essi chiamarono più tardi radio, per isolarlo occorsero anni di duro lavoro.
Il radio si trova, come l'uranio, nella pechblenda, ma in quantità infinitesimale. Per ottenere alcuni milligrammi di radio, abbastanza puro, è necessario trattare tonnellate di pechblenda.
Marie lavora instancabilmente nel suo laboratorio-capannone, versa una ventina di kg di pechblenda in un contenitore di ghisa, poi mette la bacinella sul fuoco, scioglie, filtra, precipita, raccoglie, discioglie ancora, ottiene una soluzione, la travasa, la misura e ricomincia. L'operazione di purificazione richiede il solfuro di idrogeno, un gas tossico e nel laboratorio non ci sono cappe di aspirazione.
La pechblenda era il minerale utilizzato nell'industria come materia prima per l'estrazione dell'uranio ed era costoso. Non avendo fondi per continuare la ricerca, Marie capì che si poteva ottenere sia polonio che radio dalla pechblenda residua, dopo che era stato estratto l'uranio dalle industrie. Queste scorie non erano più di alcun interesse e venivano cedute a basso costo.
Marie chiamò RADIOATTIVITA' i "raggi dell'uranio", presentò le sue ricerche alla comunità scientifica e nel 1903 ottenne il premio Nobel per la fisica.
Gli stessi Curie e altri scienziati che lavorarono con il radio, cominciarono a rendersi conto che esso era potenzialmente pericoloso da maneggiare senza appropriate cautele. Marie, lavorando con grandi quantità di radio, si espose a enormi dosi di radioattività durante la sua carriera, anche lei si ammalò di leucemia e nel 1934 morì.
Bequerel concluse che il cristallo di uranio emetteva dei raggi spontaneamente e questi raggi erano del tutto invisibili.
Il lavoro in questo campo gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1903.
Nel 1897 Marie Curie si dedicò allo studio dei raggi emessi dai sali di uranio scoperti da Bequerel. Verificando la persistenza del fenomeno con una combinazione qualsiasi di uranio, ella constatò che l'intensità della radiazione era proporzionale alla concentrazione di uranio nel sale e indipendente dalla temperatura.
Marie cercò altre sostanze che fossero capace di emettere i "raggi dell'uranio". Passando al vaglio i campioni di molti elementi e minerali contenenti gli elementi che erano noti a quel tempo, essa scoprì che anche il torio emetteva le stesse radiazioni dell'uranio.
La giovane fisica polacca aveva osservato che un minerale di uranio, la pechblenda, emanava una quantità di radiazioni molto maggiore di quanto potesse essere giustificato dal suo contenuto di uranio: era come se nel minerale fosse presente un altro elemento, non ancora conosciuto, molto più attivo dell'uranio.
Alcuni fisici ritennero che essa fosse su una strada sbagliata, ma il marito, Pierre Curie, fu d'accordo con lei.
"I fisici con cui abbiamo parlato credono che noi abbiamo fatto un errore nella sperimentazione e ci invitano ad essere più accurati. Ma io sono convinta che non abbiamo sbagliato", così scrisse Marie.
Nel 1898 Marie e Pierre Curie annunciarono la presenza di un nuovo elemento chimico: "Crediamo che la sostanza che abbiamo tratto dalla pechblenda contenga un metallo non ancora segnalato, vicino al bismuto per le sue proprietà analitiche. Se l'esistenza di questo metallo verrà confermata, noi proponiamo di chiamarlo polonio, dal nome del paese di uno di noi."
Scomponendo la pechblenda nei suoi elementi costitutivi, si accorsero che non ce n'era uno, ma due che causavano gli alti livelli di "raggi dell'uranio". Il primo di questi elementi fu chiamato polonio e il secondo, che essi chiamarono più tardi radio, per isolarlo occorsero anni di duro lavoro.
Il radio si trova, come l'uranio, nella pechblenda, ma in quantità infinitesimale. Per ottenere alcuni milligrammi di radio, abbastanza puro, è necessario trattare tonnellate di pechblenda.
Marie lavora instancabilmente nel suo laboratorio-capannone, versa una ventina di kg di pechblenda in un contenitore di ghisa, poi mette la bacinella sul fuoco, scioglie, filtra, precipita, raccoglie, discioglie ancora, ottiene una soluzione, la travasa, la misura e ricomincia. L'operazione di purificazione richiede il solfuro di idrogeno, un gas tossico e nel laboratorio non ci sono cappe di aspirazione.
La pechblenda era il minerale utilizzato nell'industria come materia prima per l'estrazione dell'uranio ed era costoso. Non avendo fondi per continuare la ricerca, Marie capì che si poteva ottenere sia polonio che radio dalla pechblenda residua, dopo che era stato estratto l'uranio dalle industrie. Queste scorie non erano più di alcun interesse e venivano cedute a basso costo.
Marie chiamò RADIOATTIVITA' i "raggi dell'uranio", presentò le sue ricerche alla comunità scientifica e nel 1903 ottenne il premio Nobel per la fisica.
Gli stessi Curie e altri scienziati che lavorarono con il radio, cominciarono a rendersi conto che esso era potenzialmente pericoloso da maneggiare senza appropriate cautele. Marie, lavorando con grandi quantità di radio, si espose a enormi dosi di radioattività durante la sua carriera, anche lei si ammalò di leucemia e nel 1934 morì.
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