mercoledì 12 febbraio 2014

Chernobyl


Il 26 aprile 1986 sul reattore n.4 della centrale di Chernobyl si effettuò un esperimento definito: "test di sicurezza". 
Si voleva verificare se la turbina accoppiata all'alternatore potesse continuare a produrre energia elettrica sfruttando l'inerzia del gruppo turbo-alternatore anche quando il circuito di raffreddamento non producesse più vapore in pressione. Per consentire l'esperimento vennero disabilitati alcuni circuiti di emergenza automatici e si procedette con un controllo manuale del reattore. Il test mirava a colmare il lasso di tempo di 40 secondi che intercorreva tra l'interruzione di produzione dell'energia elettrica del reattore e l'intervento del gruppo diesel che azionava le pompe di raffreddamento del circuito di emergenza. Questo avrebbe aumentato la sicurezza dell'impianto, che avrebbe provveduto "da solo" a far girare l'acqua nel circuito di raffreddamento fino all'avvio dei diesel.


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.... Alle ore 23.00 il capo della distribuzione elettrica di Kiev aveva dato il permesso di disinserire dalla rete la turbina 8. Il via venne trasmesso dal capoturno delle unità 3 e 4 e alle 23.10, su ordine di Dyatlov, il caposquadra dell'unità 4, Yuri Tregub, aveva iniziato a ridurre la potenza del reattore da 1700 megawatt termici a circa 700 e a quel punto poteva iniziare la prova sul turbogeneratore.


Anatoly Dyatlov

   A mezzanotte arrivò il cambio turno, Alexander Akimov sostituì Tregub, che però rimase in sala controllo ad osservare l'esperimento. Sopra Akimov, nel suo ufficio nella terza unità, c'era il capoturno generale Boris Rogozhkin; al di sotto, nella sala controllo, Leonid Toptunov, il giovane controllore del reattore 4, Igor Kirschenbaum, controllore delle turbine e Piotr Stolyarchuk controllore dell'unità.... In una sala adiacente, separata dalla sala controllo da una vetrata, stavano Metlenko e i suoi due assistenti con la loro apparecchiatura di controllo. Furono presentati a Igor Kirscgenbaum che, sebbene fosse preparato per ogni evenienza, non aveva potuto esaminare il programma dell'esperimento. Prese posto al quadro di controllo delle turbine sentendosi piuttosto a disagio. Non gli piaceva l'idea di disinserire le turbine dal circuito mentre il reattore era ancora in funzione; temeva che si potessero danneggiare. Comunque aveva la metà degli anni di Dyatlov e pertanto ritenne che lui e Akimov sapessero cosa stavano facendo. Il suo dovere consisteva nell'eseguire gli ordini.



   Davanti al quadro di controllo principale presero posto Akimov  e il giovane Leonid Toptunov. Normalmente assistiti da una serie di dispositivi automatici, sapevano che il sistema di raffreddamento d'emergenza del reattore era stato disinserito. Erano aiutati dal computer Skala, che elaborava varie migliaia di parametri stampando i dati a qualche metro di distanza da dove si trovavano.
L'informazione essenziale per Toptunov riguardava il numero delle barre di controllo; la potenza si riduceva introducendole nel reattore, ma lui doveva regolare l'assorbimento di neutroni, che riduceva la fissione con l'effetto ammortizzatore naturale dello iodio e dello xenon.




   Per ottenere maggior controllo, in conformità del programma e con l'approvazione di Dyatlov, Akimov disse a Leonid di staccare il sistema di controllo automatico locale che guidava le barre di controllo nel nocciolo, per assicurarsi che la potenza non scendesse mai al di sotto dei 700 megawatt. Sconcertato Leonid si accorse che la potenza del reattore era scesa a soli 30 megawatt. Il reattore era caduto nel cosiddetto pozzo di iodio, dal quale era rischioso cercare di tirarlo fuori.




   Tutto quanto era stato loro insegnato suggeriva ad Akimov e Leonid che l'esperimento doveva essere annullato e il reattore spento. Forse era possibile - a condizione di mantenere la potenza a quel livello - attendere altre 24 ore circa, per consentire il decadimento dello iodio e dello xenon. Ma Dyatlov aveva atteso abbastanza.
   Ormai esasperato, imprecando contro l'inettitudine degli operatori, ordinò di alzare le barre di controllo per aumentare la potenza.




   Akimov e Leonid esitarono; se avessero obbedito, nel nocciolo sarebbe rimasto un numero pericolosamente basso di barre di boro. Discussero con Dyatlov il quale, letteralmente fuori di sé, minacciò di chiamare Yuri Tregub, il capoturno precedente.
   Di fronte all'ordine diretto di un vicecapo ingegnere, che aveva lavorato sui reattori per più di vent'anni, Akimov e Leonid cedettero.
   Furono alzate sette barre, lasciandone nel reattore solo diciotto. La procedura sembrò funzionare. All'una del mattino la potenza era salita a 200 megawatt, rimanendo costante. Meno della potenza prescritta, ma sufficiente per procedere con le prove sulle turbine.


reattore RBMK

   Poco dopo l'una, la quarta pompa di raffreddamento principale venne collegata al sistema di trasporto del calore; questo inibiva la reazione a catena e significava che Leonid doveva alzare altre barre di controllo. Inoltre il regime basso significava ridotta resistenza al flusso di circolazione dell'acqua nel nocciolo; il flusso di acqua aumentò, causando pressione sulle pompe e vibrazioni nelle condutture; meno acqua si trasformò in vapore con conseguente diminuzione della pressione nei separatori acqua-vapore.




   Osservando gli strumenti di misura, i tecnici si accorsero di ciò che stava accadendo e cercarono di regolare i parametri, senza riuscirci completamente. Effettivamente all'interno dei separatori acqua-vapore la pressione del vapore stava scendendo a un livello che automaticamente avrebbe provocato l'arresto del reattore. Pertanto non tennero conto dei segnali relativi a quelle variabili e Dyatlov telefonò a Valeri Pervozchenko, il  caposquadra responsabile del reattore, e gli chiese di venire subito in sala di controllo.



   All'una e ventidue, controllando uno stampato del computer Skala, Leonid notò che il margine di riserva della reattività era circa la metà di quanto prescritto; in circostanze normali questa situazione avrebbe comportato lo shutdown (abbassamento delle barre di controllo) immediato. Comunicò i parametri ad Akimov proprio nel momento in cui stava per avere inizio l'esperimento.
   All'una e ventitre vennero chiuse le valvole regolatrici del turbogeneratore. Metlenko mise in funzione l'oscillografo e Kirschenbaum interruppe l'alimentazione di vapore alla turbina. Mentre si eseguiva l'operazione notò che la potenza del reattore cominciava ad aumentare. Avvertì Akimov e questi, osservando lo stampato, gridò a Dyatlov che avrebbe spento il reattore e premette il pulsante per abbassare tutte le barre di controllo all'interno del nocciolo.




   Si udì un rumore sordo, seguito da altri all'interno del fabbricato. Nella sala turbine, Kirschenbaum pensò che i rumori provenissero dai grossi serbatoi di azoto installati sopra il reattore, allo stesso livello della sala controllo, nella quale proprio in quel momento irruppe Valeri Perevozchenko, urlando che mentre percorreva la pensilina al di sopra del reattore aveva visto i pesanti cappellotti delle barre di combustibile saltare su e giù nei rispettivi alloggiamenti.




   Akimov guardò gli strumenti e vide che le barre di controllo avevano cessato di scendere. Disinserì immediatamente i sevomotori per lasciarle cadere per gravità. Non si mossero. Simultaneamente si avvertì una terribile vibrazione accompagnata da un rombo simile a tuono. Le pareti furono scosse, la luce si spense e da grandi fessure del soffitto cominciò a cadere polvere d'intonaco.



  Al quadro di controllo gli operatori osservavano sconvolti quadranti e lampade spia, illuminati a malapena dai circuiti di emergenza. Dyatlov, che si trovava davanti al quadro elettrico, corse verso quello principale. Si accorse che Akimov e Leonid Toptunov erano quasi paralizzati. Controllò la reattività del reattore: era positiva mentre sarebbe dovuta essere negativa o allo zero. 



  Anche lui impietrito controllò la posizione delle barre di controllo e si accorse che erano immobilizzate ad una altezza considerevole. Si voltò verso Victor e Alexander e ordinò loro di correre nella sala centrale e di abbassare le barre manualmente. Non appena se ne furono andati Dyatlov si rese conto dell'ordine privo di senso, in quanto le barre erano ancora collegate ai servomotori. Corse verso la porta per fermarli, ma nel corridoio vide solo nuvole di fumo.
   Tornò al quadro di controllo, dove Akimov aveva attivato tutte le pompe di emergenza per allagare il nocciolo, ma nessuna funzionava. Entrambi capirono che qualsiasi cosa avesse provocato l'esplosione - un separatore o un serbatoio d'azoto - esisteva ora il pericolo di fusione del nocciolo. Era di vitale importanza immettere acqua nel reattore. Akimov si rivolse a Palamarchuck e Razim e li mandò nella sala turbine per controllare che cosa non funzionasse nelle pompe, mentre Dyatlov ordinava a Tregub e Sasha Perevozchenko di aprire le valvole manualmente.



   Fu allora che si udì un fracasso che fece pensare a Sasha alla caduta di una gru contro l'edificio. Pochi secondi dopo ci fu un'esplosione di tale forza da scagliarli a terra e scardinare la porta. Quando si rialzò, Sasha vide che i muri di calcestruzzo, spessi un metro, avevano ceduto per lo spostamento d'aria.



   Uscì dalla stanza barcollando, seguito da Ogulov, brancolando nella luce fioca e semisoffocato dalla polvere. Ogulov voleva andare all'unità 3, ma Sasha lo mise in guardia: c'era il pericolo di essere schiacciati dalle lastre di cemento che cadevano dal soffitto.
   Mentre Ogulov tornava al suo posto presso le pompe, Sasha tentò di telefonare in sala controllo, ma inutilmente; ricevette invece una telefonata dal capoturno dell'unità 3, che gli chiese una barella.
   Confuso perché credeva che l'esplosione fosse avvenuta nell'unità 4, Sasha prese la barella e corse verso l'unità 3. Non si era allontanato di molto quando urtò contro un uomo con il volto coperto di vesciche e sangue. Riconoscendolo dalla voce come uno degli operatori delle pompe si offrì di aiutarlo, ma l'uomo lo spinse da parte invitandolo ad aiutare il suo compagno Gena, rimasto presso le macchine.



   Abbandonata la barella, Sasha corse verso la sala da cui era uscito il collega ferito. Era buia e dapprima ebbe la sensazione che non ci fosse nessuno. Poi vide Gena, insudiciato e tremante per il dolore lo choc.



   "Khodemchuk" mormorò "aiuta Khodemchuk". E' ancora intrappolato là sopra. Sasha guardò in alto e sopra di sé non vide altro che le stelle nel cielo.



   Dal momento che Gena poteva camminare, Sasha lo guidò all'esterno della sala pompe ridotta in macerie e quasi immediatamente si trovò di fronte Yuri Tregub. "Dyatlov mi ha detto di aprire le valvole del sistema di raffreddamento d'emergenza", disse questi con il fiato mozzo.
   Rendendosi conto che ci volevano due uomini per far ruotare le grosse valvole, Sasha lasciò che Gena proseguisse da solo e rincorse Tregub. C'erano due modi per arrivare alle valvole: il più rapido era scendere dall'alto, ma la botola era bloccata.



   Andarono verso l'entrata inferiore; anche qui la porta era incastrata, ma c'era abbastanza spazio per infilarsi all'interno. Dal soffitto colava acqua. Impiegarono alcuni minuti tentando di aprire le valvole, ma senza successo.
   Pensando di poter capire cosa fosse accaduto guardando all'esterno, uscirono attraverso una botola di trasporto e si trovarono sulla strada che costeggiava l'unità 4. Con orrore costatarono che metà dell'unità 4 era scomparsa. Non esisteva più la sala macchine e al suo posto si scorgeva un ampio foro, come se il ventre fosse scoppiato, esponendo intestini di metallo conformi e fumanti, vibranti nell'aria notturna.


   Fra le macerie Sasha cercò d'individuare i separatori, ma non si vedevano, come del resto non esisteva più la stanza dove era di servizio Khodemchuk. Riuscì a scorgere i serbatoi d'acqua e dell'azoto, pendenti come grosse scatole di fiammiferi sull'ammasso di cemento e acciaio, mentre da quel caos emanava uno strano bagliore bianco. Sasha s'immobilizzò, ipnotizzato dallo strano fenomeno, ma Tregub lo richiamò alla realtà.
"Dobbiamo rientrare", disse.



   Ora, il loro obiettivo era scoprire che cosa era accaduto a Khodemchuk, ma tornati nei corridoi bui e avvolti dalla polvere s'imbatterono in Valeri e ai due ingegneri Victor e Alexander.



"Hai una torcia?" chiese Valeri.
"Sì, ma la batteria è debole".
"Non importa, dammela, Ci hanno ordinato di abbassare le barre di controllo, ma non riusciamo a passare nella sala macchine. Il passaggio è bloccato."
"Le barre di controllo?" chiese Sasha. "Non ci sono più barre di controllo. Siamo stati fuori. La sala centrale non esiste più."
"Un ordine è un ordine", ribatté Valeri, "dobbiamo provare."
   I quattro uomini salirono dal dodicesimo al trentacinquesimo livello mentre l'acqua di raffreddamento d'emergenza cadeva su di loro come pioggia. Quando arrivarono in cima, dove le pareti erano in cemento armato, scoprirono che la porta del peso di una tonnellata era scardinata. Valeri, Victor e Alexander strisciarono sulle putrelle di acciaio, in cerca delle leve di distacco delle barre di controllo dai servomotori. Per far luce, Valeri prese la torcia da Sasha e la passò a Victor. Quando fissarono lo sguardo sull'ammasso di cemento immerso nel vapore, invece della sommità del reattore videro un cratere vulcanico in attività.



Valeri tornò a carponi verso la porta. "Niente da fare", annuncio.




   Nella sala di controllo, dopo il panico iniziale si era ristabilita la calma. Il giovane Kirschenbaum, al quadro controllo turbine, aveva pensato dapprima che il boato dell'esplosione provenisse dalle turbine sfuggite al controllo, poi che si trattasse di un terremoto. Tuttavia rimase al suo posto e spense tutti i circuiti in attesa che i quadranti gli indicassero che i parametri erano normali.
   Quando Valeri Perevozchenko tornò per annunciare che il reattore era distrutto, Dyatlov ribatté con calma che non poteva essere vero. Qualsiasi cosa fosse esplosa, la priorità era raffreddare il nocciolo. Chiese a Valeri e ai suoi tre compagni di salire al livello 27 e di aprire le valvole manualmente, per mandare acqua dalla sala turbine alla vasca delle bolle.
   Sebbene Dyatlov sapesse che si era verificata un'esplosione e potesse vedere sul quadro di controllo che i parametri del reattore erano impazziti, non gli passò per la mente che l'esplosione potesse essersi verificata nel nocciolo. La sua esperienza ventennale indicava che il reattore stesso non poteva essere esploso. Sapeva che la zona attiva era morta, si rendeva conto che il rivestimento poteva essersi fessurato, ma nulla di peggio.
Era venuto il momento di verificare personalmente. Lasciò la sala di controllo e immediatamente incontrò Anatoli Kurguz. Aveva la pelle che cadeva a brandelli lasciando scoperta la carne. Lo mandò subito in infermeria.



   S'inerpicò verso una finestra che dava sulla sala del reattore e vide che la parete era completamente distrutta. Ancora convinto che il danno fosse stato causato dallo scoppio di un serbatoio o di un separatore, corse lungo il corridoio fino in fondo all'unità 4, scese le scale e uscì in strada. La prima cosa che colpì i suoi occhi fu il fuoco sul tetto della sezione turbine. Tornò di corsa verso la sala controllo, che si era riempita di polvere e fumo.



   Ordinò ad Akimov di chiamare i pompieri e di azionare i ventilatori. Scese quindi verso l'entrata del livello 12. Da qui poteva vedere i danni più chiaramente. I serbatoi dell'azoto erano stati distrutti e il sistema di raffreddamento d'emergenza del nocciolo non funzionava. Circa trecento metri quadrati di copertura erano crollati, schiantandosi sulle turbine. Al livello 6, da una tubazione si sprigionava una fontana d'acqua bollente, che ricadendo sui cavi spezzati formava un gioco pirotecnico di scintille, piccoli incendi e scoppi.





Ma la cosa peggiore era che dall'interno del reattore si diffondeva un terribile bagliore. In quell'inferno si muovevano delle sagome, operatori con estintori, pompieri sul tetto. Dyatlov si avvicinò all'autopompa più vicina e indicò al giovane comandante dove poteva trovare gli idranti. Poi si diresse verso la terza unità.



   Entrato nella sala controllo, il capoturno gli chiese se dovesse fermare il suo reattore. Dyatlov rispose che non era necessario. prima di tornare all'unità 4, prese una dose di iodio dalla cassetta del pronto soccorso.

   Intanto Piotr Palamarchuk e Razin Davletbayev, cui Dyatlov aveva ordinato di controllare le pompe, riuscirono a superare i corridoi bui e invasi dalla polvere che portavano alla vicina sala turbine al livello 12. La prima cosa che videro fu il tetto crollato e i frammenti di acciaio e cemento che cadevano a terra, con catrame fuso che formava focolai sul pavimento. Rimasero addossati alla parete, osservando la cascata di macerie sulle condutture di acqua bollente radioattiva.




   Scesi al livello 5 videro che le pompe erano allagate e non in grado di funzionare. Attorno a loro le tubazioni spezzate riversavano non solo acqua bollente, ma idrogeno e olio. Il pericolo maggiore era costituito dall'idrogeno all'interno delle turbine, che poteva provocare altre esplosioni. Razim iniziò a rimpiazzare l'idrogeno con l'azoto, ma prima dovette chiamare gli elettricisti per sostituire i cavi distrutti.
   Accompagnato da Shevchuk, Piotr si mise alla ricerca di Shashenok. I corridoi erano bui, le lampade di rilevamento della radioattività erano passate dal verde al rosso, il che gli fece capire che l'esplosione aveva prodotto danni gravi. Ma non c'era possibilità di stabilire i livelli o di munirsi di indumenti protettivi.

   Arrivato nella sala del reattore, Piotr s'imbatté in Alexander, che stava tornando nella sala di controllo, il quale gli comunicò che sopra di loro tutto era stato spazzato via. A questo punto Piotr si rese conto che il reattore era stato danneggiato e corse a chiamare lo specialista provvisto di contatore Geiger per misurare i livelli di radiazione; ma quando ne trovò uno fu informato che era impossibile ogni misurazione: le lancette arrivavano a fondo scala.
   I due uomini ripresero la ricerca di Shashenok, facendosi strada a fatica sulle scale metalliche e i corridoi, a volte attraversando rivoli d'acqua che sapevano essere altamente radioattivi. Arrivarono nella stanza semidistrutta di Shashenok e lo videro a terra in un corridoio. Era ancora vivo, ma aveva terribili ustioni su gran parte del corpo e diverse fratture. Lo trasportarono come possibile dal livello 27 al livello 9. Qui trovarono una barella e lo portarono all'infermeria della prima unità.



   Mentre cercavano di raggiungere il livello 27 per aprire le valvole, Sasha Yuvchenko si lamentò con il suo capo: "A cosa serve, Valerì Ivanovich?"
"Ho visto il reattore dall'esterno. Tu hai guardato nella sala centrale. Non esiste più. Il lato destro è completamente distrutto, tutte le condutture sono spezzate, le ho viste dondolare a mezz'aria. Non portano più alla vasca della bolle."
   "Un ordine è un ordine", ripeté Valeri.
   "Si deve fare qualcosa."
   Quando raggiunsero l'angusto spazio dove erano installate le valvole, Valeri s'inerpicò lungo un passaggio buio per raggiungere quelle più lontane. Alexander lo seguì. Sasha e Victor iniziarono a manovrare le più vicine, ma quando riuscirono a farle ruotare, un getto di vapore bollente li investì in pieno; arretrarono, in attesa che cessasse, ma poiché continuava, uscirono e chiusero la porta.
Valeri riapparve con Alexander e disse:
"Le abbiamo aperte. Il lavoro è fatto."
Mentre tornavano alla sala controllo incontrarono un dosimetrista; Sasha lo fermò per chiedergli quale fosse il livello di radiazione.
"Siamo fuori dal livello", gli rispose.
Sasha comprese che erano tutti condannati a morire.
   Arrivarono ad una chiazza di luce nel corridoio e Valeri trasse di tasca un pacchetto di sigarette bagnato.
"Riposiamoci un minuto", disse, "e fumiamo. Poi andremo a cercare gli altri."
   Rimasero a fumare in silenzio. L'aria era densa di vapore; dai cortocircuiti si sprigionavano lampi azzurrastri.





(tratto da "Catastrofe - la vera storia di Chernobyl" di Piers Paul Read)






Ciò che mi ha lasciato sgomento è quello che è successo alle mura...erano di cemento armato, spesse almeno un metro...le ho viste dal mio ufficio piegarsi come fossero di gomma...così...si è fatto subito buio; le luci si sono spente e si e siamo stati tutti avvolti da un denso vapore...polvere...vapore...buio...e un orribile rumore simile ad un sibilo...sì un sibilo.

Al posto del soffitto vedevo il cielo...il cielo pieno di stelle...alle tre del mattino cominciai a vomitare...era i primi segni dell'esposizione alle radiazioni. Alle sei non riuscivo più a muovermi...non potevo nemmeno trascinarmi al pronto soccorso...mi hanno messo su un'ambulanza e mi hanno portato via.


* * * * *

Valeri Kodemchuk muore nell'esplosione mentre è nella sala pompe.
Valeri Peravachenko muore tre settimane dopo a causa delle ustioni da radiazione.
Alexander Akimov muore 15 giorni dopo l'esplosione per avvelenamento da radiazioni.
(poco prima di morire dichiarerà "Non capisco cosa sia successo.")
Leonid Toptunov muore tre giorni dopo Akimov.
Sasha Yuvchenko è miracolosamente sopravvissuto, ma le tracce di quella notte rimangono nel suo sangue, solo nel primo anno ha subito 15 trapianti...le ustioni non sono comparse tutte in una volta...dopo alcuni giorni la pelle si staccava a brandelli e ora il sangue non coagula come dovrebbe.

(L'elenco dei tecnici che operavano al reattore n.4:
http://en.wikipedia.org/wiki/Individual_involvement_in_the_Chernobyl_disaster)




Il capo-ingegnere di Chernobyl Nikolai Fomin fu arrestato nell'agosto 1986 e rinchiuso nella prigione di Kiev in attesa di giudizio. Discolpato dall'imputazione di abuso di potere, venne condannato a dieci anni di lavori forzati perché colpevole di gravi violazioni delle norme di sicurezza.



Il direttore dell'impianto Viktor Bryukhanov fu arrestato nell'agosto 1986 e mandato per un anno nella prigione di Kiev, in attesa di giudizio. Colpevole di gravi violazioni delle norme di sicurezza fu condannato a dieci anni di lavori forzati, più cinque anni per abuso di potere.



Anatoly Dyatlov esposto a 550 rem di radiazioni, sopravvisse all'esplosione. Fu dichiarato colpevole "di gestione criminale di un'azienda potenzialmente esplosiva" e condannato a dieci anni di carcere; nel 1995 fu stroncato da un infarto.



"Io penso che i tecnici che lavoravano al blocco n.4 con Alexander Akimov, non abbiano responsabilità. Con qualunque equipe di lavoro, sotto un capo come Anatoly Dyatlov, che ha voluto seguire il test con isteria e a tutti i costi, la tragedia sarebbe avvenuta lo stesso."



"E' assolutamente chiaro che le persone che lavoravano quella notte al blocco n.4 non sono responsabili. Io sono convinto che neanche Dyatlov volesse quella tragedia."



"Nella lotta tra me e il reattore, solo ad uno può essere data la colpa. Quel reattore non avrebbe dovuto essere messo in funzione. Il vero colpevole di tutta la vicenda è l'autorità per l'energia atomica che non ha fornito la corretta documentazione quando e dove ce n'era bisogno ed ha reso l'esplosione del reattore inevitabile. Il reattore si è comportato come era normale che si comportasse."

(da "La storia siamo noi" - Gianni Minoli - RAI)