venerdì 28 dicembre 2012

Origine biologica del petrolio

ORIGINE DEL PETROLIO

...Un manto d'acqua avvolge la crosta della Terra, sotto forma di nuvole, oceani, laghi, fiumi, falde acquifere e ghiacciai, condensa, precipita, si scioglie, circola, gela ed evapora di continuo. La frenetica attività dell'acqua sulla superficie terrestre ne modella l'aspetto, erodendo montagne, incidendo valli, scivolando piano piano verso il basso attraverso i minuscoli spazi tra le particelle del suolo fino ad incontrare la roccia sottostante. Quando il clima si raffredda, l'acqua accumulata nello strato roccioso, gela espandendosi e frantumandolo. L'insieme di questi processi abbatte le montagne, lentamente ma inesorabilmente.


I prodotti dell'erosione e dell'azione degli agenti atmosferici, i sedimenti, vanno a depositarsi in pozze, vengono portati via dai corsi d'acqua e alla fine raggiungono il mare. I fiumi, con i loro vortici di sabbia e detriti, corrono verso gli oceani. Man mano che si avvicinano, la loro velocità diminuisce e i detriti in sospensione cominciano ad affondare. Sul fondale marino gli strati di sedimenti si accumulano e seppelliscono con il loro peso crescente quelli sottostanti che con il tempo si comprimono e si induriscono. Si trasformano cioè in roccia.


L'oceano brulica di piccoli crostacei, alghe, microscopiche forme di vita da cui dipende l'intera catena alimentare. Dei tre generi di animali marini - quelli ancorati al fondo, come i coralli; quelli che nuotano come i pesci; e le piccole creature che si limitano a farsi trasportare dalle correnti e dalle maree - i più piccoli sono di gran lunga i più prolifici: producono fino all'80 per cento della materia organica complessiva dell'oceano.
Queste orde di minuscole creature marine, sono dette plancton di cui il fitoplancton, microscopici organismi unicellulari fotosintetizzanti, è il motore del mare. Costituisce la base della catena alimentare sottomarina, trasformando, per mezzo della luce, l'anidride carbonica in composti organici, fornendo alimento ad altri organismi più complessi.



Lo scopo della vita del plancton è non affondare. Questi organismi devono rimanere nello strato di acqua in cui sono luce e calore sufficienti e lo sforzo fa sì che restino piccoli e, per evitare i predatori, trasparenti.
Particolarmente prolifere sono le diatomee, creature per metà piante e per metà animali che si riproducono per divisione cellulare e che possono rimanere latenti per anni, in attesa di una condizione favorevole per ritornare in vita. Le più lunghe misurano 80 micron. Dopo la morte il loro involucro siliceo precipita sul fondale andando a raggiungere i sedimenti portati dai fiumi. I piccoli gusci, insieme a quelli di altre creature unicellulari, si mescolano alla fanghiglia e si trasformano in quelli che i geologi chiamano fanghi carbonatici.



Ogni anno sul fondo marino si deposita circa un decimo di millimetro di detriti formati da resti di plancton e da altri sedimenti. Moltiplicando per dieci milioni di anni si arriva a un chilometro di spessore.

La fanghiglia in questione è ricchissima di CARBONIO, elemento costitutivo della vita, quello che le piante trasformano in materia organica (con la fotosintesi) e che noi espiriamo sotto forma di anidride carbonica. Elemento chimico che forma la sostanza nera e fuligginosa del carbone e della grafite, nonché il materiale più duro esistente in natura: il diamante, e moltissime altre sostanze.

Miliardi di anni fa, la Terra fu bombardata da meteoriti contenenti carbonio e da altri piccoli corpi celesti solidi. Ne conseguì un costante aumento di carbonio sul neonato pianeta. Oggi sulla Terra ci sono 49.000 gigatonnellate di carbonio (giga=1 miliardo), il che ne fa il quarto elemento più abbondante dell'universo dopo idrogeno, elio e ossigeno.
Il carbonio circola intorno al pianeta, sprofonda nella terra, zampilla dai vulcani e si diffonde nell'atmosfera. Nella sola atmosfera ne sono presenti 750 gigatonnellate.
La gran parte del carbonio - più di 30.000 gigatonnellate - si trova negli oceani che effettuano un mutuo scambio con l'aria sovrastante. L'anidride carbonica si dissolve nel mare e le correnti oceaniche trasportano le acque cariche di carbonio nelle oscure profondità.

Se legato con l'idrogeno, il carbonio è idrorepellente, ed è per questa ragione che il petrolio non si mescola con l'acqua. Il petrolio e il gas naturale sono
idrocarburi, così chiamati perché formati da idrogeno e carbonio. Le molecole di petrolio più semplici sono lunghe catene di idrocarburi. Più le catene di idrocarburi sono lunghe, meglio aderiscono le une alle altre e il composto diventa più denso. Le catene con 30 atomi di carbonio hanno consistenza della cera.




Per organismi come il plancton, che formati quasi esclusivamente da acqua e vivono nell'acqua, una barriera di materiale idrorepellente è fondamentale. Non c'è da stupirsi quindi che la componente essenziale della membrana cellulare del plancton siano catene di molecole di idrocarburi di 15-20 atomi di carbonio.





I resti del plancton accumulatisi sul fondo del mare si confondono con i detriti di materiale inorganico a formare i sedimenti. Man mano che nuovi sedimenti si formano, quelli sottostanti sono sepolti sempre più in profondità e piano piano si compattano espellendo quasi tutta l'acqua. Dal momento che buona parte del materiale organico proviene dal plancton e che, tolta l'acqua il plancton è formato da composti di carbonio (idrocarburi) idrorepellenti, gli strati diventano ricchi di idrocarburi. Nel corso di milioni di anni si induriscono, trasformandosi in fogli sottili di roccia nera nella quale sono ancora distinguibili, al microscopio, frammenti di gusci, pollini e perfino interi microrganismi fossilizzati.



Sepolti in profondità, ad almeno duemila metri, gli strati sedimentari si trasformeranno in roccia scistosa o argillosa, ricca di idrocarburi. Sotto costante pressione e a temperatura di circa 80 gradi (procedendo verso il centro della Terra la temperatura sale), in milioni di anni,  le grosse molecole si scindono in molecole sempre più piccole di idrocarburi, meno viscose e più volatili, formano il petrolio che riempie gli interstizi dello scisto o "roccia madre".

Se lo strato roccioso continua a sprofondare nella crosta terrestre, la pressione diventa troppo elevata e il calore troppo intenso, le molecole di petrolio continuano a rompersi fino a formare il metano o gas naturale che è l'idrocarburo più leggero.

Se il petrolio mondiale giacesse tutto in profondità nella roccia scistosa, l'uomo non avrebbe mai saputo della sua esistenza, ma questi si può spostare e rimanere intrappolato in luoghi dove gli uomini possono raggiungerlo.
Le rocce madri scistose e argillose sono intrise di petrolio, ma oggi è praticamente impossibile estrarlo perché troppo denso. Non che il tentativo non sia stato fatto. In Colorado sono presenti quantità enormi di scisto contenente petrolio, depositato da un gigantesco lago che ricopriva parte dello Utah, del Colorado e del Wyoming più di 60 milioni di anni fa. Oggi il lago è scomparso ma non i suoi sedimenti, sepolti sotto terra, che formano un giacimento embrionale.



I massi di scisto del Colorado bruciano come il carbone; lo scoprirono gli operai della ferrovia che li usavano per delimitare i falò. Queste rocce contengono tonnellate di petrolio. Se si potesse estrarlo, se ne otterrebbe una quantità quasi pari al petrolio convenzionale del resto del pianeta.



Negli anni ottanta la Exxon, alla disperata ricerca di una nuova fonte di greggio, spese più di un miliardo di dollari nel tentativo di estrarlo dallo scisto del Colorado, ma abbandonò il progetto quando il costo balzò a 8 miliardi per 50.000 miseri barili al giorno. La compagnia avrebbe dovuto estrarre la roccia, frantumarla e riscaldarla producendo una quantità immensa di "scarti". 

Di solito si cercano quindi luoghi dove le forze geologiche hanno spinto il petrolio, dallo scisto, dentro rocce più facili da trivellare. Questo accade quando gli strati di scisto vengono spremuti dal movimento delle placche. Milioni di anni di tale pressione spremono fuori il petrolio, che risale grazie al suo peso specifico. Il liquido nero può migrare per lunghe distanze, anche più di 150 km. Dove va? Schiacciato da una pressione tremenda, sotto centinaia di metri di roccia in movimento, il petrolio cerca la via di uscita più semplice attraverso le piccole fratture e i pori delle rocce che lo soffocano. E' un cammino tortuoso, che si dipana dentro interstizi minuscoli, salendo sempre verso la luce del Sole.

Non tutti gli strati rocciosi sono particolarmente densi. Immaginate che il petrolio incontri una roccia formatasi da sabbia bianca fine che si è fusa in uno strato di porosa arenaria.




Anche se la pressione è molto intensa, fino a un quarto del volume della pietra è costituito da spazi vuoti. I granelli si impilano come palline da ping-pong e tra uno e l'altro resta molto spazio.  
L'arenaria, inzuppata di petrolio, ha bisogno di un "coperchio", altrimenti il liquido continuerebbe a stillare disperdendosi su un'area tanto vasta che sarebbe impossibile raccoglierlo. E' necessario che sopra l'arenaria si formi uno strato impermeabile.




Il processo di migrazione trova maggior impulso quando nei pori della roccia è presente acqua, attraverso una vera e propria spinta di galleggiamento.


La roccia ove il petrolio si accumula e viene estratto è quasi sempre un'arenaria o una roccia carbonatica con porosità e permeabilità elevate e con contenuto organico originario praticamente nullo.


da Geologia.com/petrolio


Capita a volte che anni di erosione logorino le rocce di copertura, portando in superficie interi giacimenti. E' accaduto nell'Alberta, in Canada. Il petrolio e i gas leggeri si sono dispersi rapidamente nell'aria lasciando solo una fanghiglia bituminosa, l'infame sabbia petrolifera dell'Alberta, un "giacimento morto".



Un giacimento di petrolio deve essere costituito da spessi strati di roccia madre, di roccia serbatoio porosa e da una copertura di roccia impermeabile che siano disposti nella posizione adatta a formare una trappola petrolifera e abbiano le giuste condizioni di pressione e temperatura. Deve quindi verificarsi una sequenza di eventi complessa, nel corso di milioni di anni e che necessita delle carcasse di miliardi di organismi, dell'innalzarsi e abbassarsi dei mari e dello spostamento di tonnellate di roccia. Nel complesso si pensa che la Terra abbia generato 2 trilioni (10 18) di barili di petrolio.

(Oggi (2011) consumiamo, nel mondo:      88 milioni di barili di petrolio al giorno
                                                                         32.120 milioni di barili all'anno)

Circa 180 milioni di anni fa , appena sopra l'equatore si estendeva un mare caldo e poco profondo che separava le terre emerse in due subcontinenti: Laurasia e Gondwana. In quel mare antichi organismi corallini costruirono le loro portentose barriere. Gli è stato dato il nome di Tetide, in onore della mitologica ninfa, figlia di due divinità greche del mare: Nereo e Doride, a loro volta filgli del dio del mare: Ponto e Gea, la madre Terra.



Per più di 100 milioni di anni il fondale della Tetide raccolse ricchi strati di sedimenti tra cui gusci vuoti, plancton e altro materiale organico. Poi le acque che lambivano le coste si ritirarono lasciando una crosta salina a ricoprire gli strati organici. La sabbia prese il posto dell'acqua, seppellendo il sale.
Questo fenomeno si ripeté molte volte e il risultato furono strati sovrapposti di roccia madre,  roccia serbatoio ed evaporite (sali dovuti all'evaporazione dell'acqua). A poco a poco gli strati cominciarono a sprofondare e la loro compressione diede origine al petrolio. Il fondale sprofondato della Tetide oggi contiene circa i due terzi di tutto il petrolio mondiale.




La maggior parte è rimasto intrappolato in Medio Oriente. Circa 15 milioni di anni fa il fondo del mare primordiale si trasformò in terra emersa: i suoi sedimenti vennero in superficie. Arabia e Asia, che vi si affacciavano, entrarono in collisione. L'impatto frantumò la terra sollevandola negli altissimi monti Zagros, nell'Iran sud-occidentale. A sud-ovest dei rilievi si formò una vasta depressione, il bacino mesopotamico, uno dei più grandi bacini sedimentari del mondo, dove trovarono riposo i sedimenti ricchi di materia organica della scomparsa Tetide.




Lo scontro tra placche continentali increspò la roccia, la ripiegò su se stessa e vi aprì faglie, strizzando gli strati profondi che contenevano il petrolio. Il liquido cominciò a migrare. Quelle che un tempo erano le spiagge e le barriere coralline della Tetide, sepolte e trasformate in arenaria e calcare, lo risucchiarono. In alcuni luoghi gli strati salini lo sigillarono sotto cupole, in altri furono le pieghe dei sedimenti a intrappolare il petrolio.


Se si pensa che trilioni di barili di greggio migravano dentro le rocce in profondità, non sorprende che una certa quantità abbia trovato il modo di raggiungere la superficie. Qui una parte semplicemente svaniva, evaporava, un'altra si raccoglieva e conservava in pozze fangose.



Gli esseri umani lasciarono l'Africa ancestrale sfruttando l'istmo formato dalla collisione tra Africa e Asia che aveva inghiottito la Tetide e si stabilirono nella fertile vallata tra il Tigri e l'Eufrate. Non ci volle molto perché scoprissero il petrolio che stava filtrando lentamente dal suolo e asciugava al sole.


(tratto da ORO NERO di Sonia Shah)