martedì 1 gennaio 2013

La fine del carbone

LA FINE DEL CARBONE



Alla metà del Cinquecento le foreste inglesi cominciarono a diradarsi. Poiché non si poteva fare a meno del fuoco, la gente ricorse a una strana una pietra  nera infiammabile che si estraeva dal suolo. All'epoca non si sapeva che quelle rocce erano i resti condensati di felci e resti di piante marcite nelle paludi, milioni di anni prima. Erano carbone.
Come combustibile non era l'ideale. Il colore ricordava quello nerastro dei morti di peste bubbonica. Il fumo faceva star male. L'estrazione comportava un notevole dispendio di tempo, era pericolosa e poco agevole. Le miniere  contenevano gas esplosivi (grisou o grisù: gas inodore e incolore, più leggero dell'aria, per cui si accumula in sacche nelle parti alte delle gallerie, se combinato con 5-14% di aria, a contatto di fiamma, dà luogo a miscele esplosive) e venefici ed erano soggette ad improvvise inondazioni. Era però sempre meglio che morire di freddo.



E così si cominciò ad estrarre dal terreno il carbone per alimentare i focolari. Come effetto collaterale le città si ricoprirono di uno strato di fuliggine e i cieli furono oscurati da nuvole nere. Nel Settecento i filoni superficiali erano ormai esauriti. Si dovette scavare più in profondità, con rischi sempre maggiori di inondazioni ed esplosioni.
Continuare a fare affidamento su un combustibile tanto difficile da estrarre e tanto caro sarebbe stato rischioso e magari anche sconsiderato. La quantità di energia che sarebbe servita a pompare fuori l'acqua dalle gallerie profonde che si inabissavano sotto la falda freatica (Dovuta all'acqua dei fiumi e alla pioggia, che viene lentamente trasportata in profondità dalla forza di gravità finché non raggiunge uno strato impermeabile argilloso dove si ferma e si accumula) sarebbe stata pari, se non superiore, a quella ottenibile dal carbone estratto. Tuttavia c'era già chi era disposto a lottare per difendere il business del carbone. I proprietari delle miniere calcolarono che, pur dovendo sborsare il denaro necessario per più operai e più macchinari, se fossero riusciti a rientrare nei loro investimenti vendendo sempre più carbone, avrebbero comunque tratto profitto da miniere più grandi e più profonde.



In altre parole più il carbone si esauriva e più problematico diventava estrarlo, più bisognava venderne perché ne valesse la pena. Eppure questo sistema assurdo funzionava. Assoldando più lavoratori e attirando investimenti più cospicui, l'estrazione del carbone divenne presto una delle industrie più grandi e a maggior intensità di capitale della Gran Bretagna.

Nel 1702 con Thomas Savery e nel 1712 con Thomas Newcomen fu inventata la macchina a vapore, subito impiegata per far defluire l'acqua dalle miniere sempre più profonde.




Grazie a questa invenzione "la più straordinaria che l'ingegno umano abbia mai prodotto", scrissero gli storici, si poté beneficiare "dell'arte di convertire il combustibile in energia utile, a tutto vantaggio dell'umanità". Il carbone reso accessibile dalla macchina a vapore fu utilizzato in parte per alimentare la macchina stessa e le fucine dove si fondeva il ferro con cui era costruita. Era un ciclo che si autososteneva e permise l'intensificazione della produzione del carbone e del ferro abbassando il prezzo di entrambi. Poco dopo esplose la rivoluzione industriale che portò al parossismo il legame tra ferro, acciaio e carbone. 

Nel Settecento e nell'Ottocento carbone era sinonimo di potere. Ma c'era un prezzo da pagare. Il suo fumo era così denso che lo si vedeva sospeso sopra le città inglesi da chilometri e chilometri di distanza e in certi casi arrivava perfino ad oscurare il sole.




I bambini lavoravano nelle fabbriche alimentate a carbone o peggio ancora nelle miniere fredde umide e malsane. "Di solito i bambini più piccoli sono impiegati per guardare gli ingressi" annotava l'economista Friedrich Engels "e così passano dodici ore al giorno al buio, soli, seduti in  umidi corridoi, senza nemmeno avere abbastanza lavoro per salvarli dal tedio di non fare nulla, che li istupidisce ed abbruttisce". Privati della luce del sole, esposti all'aria avvelenata delle esplosioni, si ammalavano e morivano. A Manchester, alla metà dell'Ottocento, la maggior parte dei poveri non sopravviveva fino al diciottesimo compleanno.



Chi ci riusciva invecchiava prematuramente. Alcune delle tragedie che colpivano gli operai delle miniere venivano fatte passare sotto silenzio, almeno per un po', dai proprietari, che cospiravano con i giornali locali.

Sull'altra sponda dell'Atlantico, nel frattempo cominciava un'altra storia. Alla metà dell'Ottocento gli abitanti della Pennsylvania Nord-occidentale  avevano trovata una sostanza nera oleosa che galleggiava sulla superficie di ruscelli e sorgenti. Cominciarono quindi a schiumare il liquido con degli stracci e lo usarono per la prima cosa a cui si pensava in quei tempi duri: cercare di contenere la sbalorditiva schiera di malattie che li perseguitava. All'epoca le epidemie di colera, febbre gialla, influenza e vaiolo decimavano la popolazione del Nord America. Alcuni individui intraprendenti vendevano il petrolio con il nome di "olio di Seneca" come curativo di innumerevoli patologie.



Se incendiate, le lunghe catene di carbonio del petrolio, si rompono, rilasciando l'energia immagazzinata nei loro forti legami chimici. In seguito gli atomi di carbonio e idrogeno si legano con l'ossigeno formando anidride carbonica e acqua. La quantità di energia presente in 4 litri di petrolio è pari a quella presente in 5 kg del miglior carbone o a 10 kg di legna o a 40 schiavi ben nutriti che fatichino per un'intera giornata.
Il petrolio conteneva tanta energia da poter essere usato in grandi quantità perché rilasciava comunque più energia di quanta ne era necessaria per estrarlo.
In Pennsylvania si cominciò a trivellare un pozzo, come si faceva per l'acqua e il sale e nel 1859 Edwin Drake alla profondità di 21 metri trovò il petrolio.



Esploratori di ogni tipo e genere percorsero il globo in lungo e in largo a caccia di segni rivelatori di fuoriuscite di petrolio che li avrebbero resi ricchi. Dall'altra parte del mondo i russi trivellarono le polle i cui fuochi inestinguibili avevano tanto affascinato  i persiani. A Baku, sul Mar Caspio, imbarcavano il petrolio sulle navi cisterna. Intorno al porto il fumo delle duecento raffinerie che distillavano il greggio era talmente denso che l'area era nota come "città nera". Il fuligginoso petrolio russo cominciò a riempire le lampade di tutta l'Asia insieme a quello estratto dalle rocce dell'Indonesia.



Nel 1862 i pozzi scavati nella Pennsylvania producevano fino a 3 milioni di barili (1 barile = 158,987294928 litri) all'anno. Veniva chiamata "produzione" del petrolio, strana definizione se si pensa che l'uomo non produceva proprio niente, ma piuttosto estraeva qualcosa che la Terra aveva generato innumerevoli anni prima. 
Dopo appena trent'anni i 16.000 agricoltori, imprenditori e speculatori della Pennsylvania l'avevano prosciugata perforando il terreno in tutti i punti dove erano riusciti, facendone fuoriuscire il petrolio alla velocità massima allo tecnicamente consentita. Quando i pozzi improvvisamente si esaurirono, fu come se una pestilenza si fosse abbattuta sulle cittadine che erano spuntate come i funghi nei dintorni. Non avendo idea di quanto petrolio ci fosse nel sottosuolo né della sua provenienza, non erano stati in grado di prevederne la fine.

A differenza del carbone, che poteva essere bruciato appena estratto, per poter essere davvero utile il greggio richiedeva una lavorazione molto dispendiosa in termini energetici. Il petrolio che fuoriusciva gorgogliando dal terreno era una miscela di migliaia di diversi tipi di idrocarburi. C'erano catene di carbonio molto lunghe, anche più di 70 atomi, ma anche idrocarburi formati da 4 atomi appena, e catene intermedie. La miscela variava a seconda del luogo e della profondità da cui proveniva il greggio.



I diversi idrocarburi bruciano a diverse temperature, il che diventa un problema quando si cerca di imbrigliare l'energia prodotta dalla loro combustione. Era necessario separare varie frazioni di idrocarburi, con la distillazione, e costruire dei macchinari adatti a bruciare i componenti in modo ottimale.
Quando si riscalda il greggio, le diverse frazioni raggiungono via via il loro punto di ebollizione e si trasformano in vapori. A temperatura ambiente il metano (nota 1) è un gas così pure gli idrocarburi fino a 4 atomi di carbonio.



A temperature superiori a 36 °C bollono gli idrocarburi con 5 o più atomi di carbonio...a 260 °C quelli a 16 atomi di carbonio...a 500 °C gli idrocarburi più complessi. Nelle raffinerie si separavano i vari idrocarburi in torri di acciaio con evaporazione e condensazione (vedi distillazione del petrolio).
Nel XIX secolo solo una frazione era considerata utile: il cherosene, che veniva utilizzato per illuminazione in quanto rappresentava un notevole miglioramento e meno costoso rispetto all'olio di balena e alla trementina.

John D. Rockefeller costruì la sua fortuna sul commercio del Cherosene. Egli considerava il suo compito in termini spirituali: portare la luce nelle tenebre del mondo. "Diamo al povero luce a poco prezzo" diceva ai suoi colleghi. Ma in realtà si trattava di un grosso business altamente lucrativo. 




Fu Rockefeller a renderlo tale, con la sua spietata brama di espandere il proprio impero petrolifero e dominare i mercati e costringere i concorrenti a ritirarsi.
Poi nel 1879 Thomas Edison inventò la lampadina ad incandescenza nel laboratorio del New Jersey e con essa la nascita dell'energia elettrica.


Il desiderio di cherosene della società si dissipò rapidamente a fronte della nuova illuminazione. Ma Rockefeller e altri industriali del petrolio nuotavano nel cherosene. Con i giacimenti della Pennsylvania esauriti, intorno al 1885, l'industria petrolifera si era spostata in Ohio e nell'Indiana. Si doveva trovare un nuovo mercato e...in fretta.
Nel XIX secolo il termine "trasporti" faceva pensare ai carri trainati da cavalli e alle rotaie forgiate nella fucina della Rivoluzione Industriale, su cui viaggiavano carbone, acciaio e persone. 



In entrambi i casi l'energia necessaria ad alimentare il movimento era ingente. Servivano tonnellate di acciaio e sudore per costruire treni e rotaie, e poi carbone e uomini per alimentarle e manovrare i convogli.
Il trasporto su carri richiedeva un investimento energetico inferiore, ma era anche meno potente e più limitato in termini di distanze e utilità. 

Nel 1860 fu inventato un aggeggio in grado di accrescere in maniera sostanziale la resa energetica: la bicicletta. Questa macchina semplice e compatta riusciva a rendere il movimento umano fino a quattro volte più potente. Pedalando senza fretta per un'ora si percorrevano 9-10 Km, il doppio della distanza coperta nello stesso tempo camminando di buon passo.



La bicicletta richiedeva una manutenzione limitata e i materiali comuni con cui era costruita ripagavano ampiamente dell'investimento in termini di energia. A differenza del treno che necessita di montagne di carbone, e dei carri che sfruttano il metabolismo animale, la bicicletta era piccola ed efficiente, e veniva azionata dall'uomo. (I treni oggi necessitano di 210 Kcal di energia per muovere una sola persona di un chilometro e mezzo. La bicicletta ci riesce con sole 20 Kcal, la quantità di "carburante" contenuta in un morso di banana.)
La bicicletta conquistò il mondo intero. Era un modo per muoversi completamente nuovo perché, a differenza dei treni, che partono solo a orari prestabiliti, verso località prestabilite, la bicicletta era completamente sotto il controllo di chi pedalava.

Forse era inevitabile che le due forme di trasporto alla fine si fondessero.
Nel 1886, sette anni dopo che l'invenzione della lampadina elettrica aveva minato il mercato del cherosene e fatto vacillare i baroni del petrolio, l'ingegnere tedesco Carl Benz collegò un motore a un triciclo.



Nel 1890 i francesi Panahard e Levassor realizzarono un quadriciclo con motore anteriore, albero di trasmissione longitudinale e trazione posteriore.
Non si può comunque affermare che le nuove invenzioni avessero rivoluzionato il sistema di trasporto treno-cavallo-bicicletta perché le auto che si vendevano erano davvero in numero esiguo. Il "New York Times" il 3 gennaio 1899 scriveva: "...questi veicoli di nuova concezione sono di una bruttezza indicibile e nessuno di essi ha mai avuto un bel nome o almeno un nome durevole. I francesi, i quali, se non altro, sono solitamente ortodossi nelle questioni etimologiche, hanno coniato "automobile", che essendo per metà greco e per metà latino è talmente indecente che lo stampiamo con una certa reticenza.".




Oltre a essere brutte le auto non erano molto efficienti come mezzi di trasporto per le persone. Anche le auto di oggi, a parità di distanza, richiedono tre volte più di energia dei treni e trenta volte più della bicicletta. Ma erano veloci e soprattutto, a differenza dei treni, alimentati a carbone, la loro velocità dipendeva dal petrolio. Il carbone poteva competere con il petrolio per alcune applicazioni, ma in questo caso era decisamente perdente. Il carbone era ingombrante e il rilascio di energia troppo lento per motori che dovevano essere accesi e spenti in fretta.
Cominciò così lo sviluppo esponenziale dell'industria automobilistica collegata all'industria petrolifera di estrazione e raffinazione.



Mentre l'industria petrolifera toccava vette sempre nuove grazie all'aumento della domanda, l'industria del carbone era impantanata. I minatori sfruttati insorgevano in preda alla disperazione. Tra il 1929 e il 1954, l'industria estrattiva del carbone aveva perso ogni anno 5 milioni di giorni-uomo per gli scioperi. E dopo ogni interruzione del rifornimento di carbone erano sempre di più i dirigenti delle fabbriche  a investire, esasperati, nella conversione al più affidabile petrolio.



L'ambiente annerito di Londra, la capitale del carbone, era diventata letale. Il 4 dicembre 1952 un anticiclone si fermò sulla città creando un'inversione termica, ovvero dell'aria stagnante e fredda rimase intrappolata sotto uno strato di aria calda. A causa del freddo i londinesi aumentarono la potenza degli impianti di riscaldamento, bruciando più carbone e di conseguenza creando più smog che per via dell'inversione termica rimase intrappolato. Si creò un problema di visibilità, non si riusciva a vedere a più di due o tre metri, ma i londinesi erano abituati a questa nebbia fitta che chiamavano "black fog o killer fog" e non si resero conto di quello che stava succedendo.
I trasporti pubblici si fermarono ad eccezione della metropolitana e addirittura le ambulanze si fermarono costringendo i londinesi a raggiungere gli ospedali con i loro mezzi di trasporto o a piedi.
Il problema fu reso peggiore dall'uso per il riscaldamento di carbone di bassa qualità ad alto contenuto di zolfo, per permettere l'esportazione di carbone di buona qualità a causa della critica situazione economica della Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale.



Le 1000 tonnellate di particolato, le 2000 di anidride carbonica, le 140 di acido cloridrico e le 370 di biossido di zolfo che il carbone londinese aveva riversato nell'aria quel giorno erano intrappolate sopra la città. Seguirono cinque giorni senza vento e la nube stagnante asfissiava gli abitanti, il biossido di zolfo reagì con le goccioline d'acqua fuligginosa a formare un composto acido che portò ad infezioni e a gravi problemi dell'apparato respiratorio. Molti non riuscirono nemmeno a raggiungere gli ospedali sovraffollati e crollarono per strada. I servizi medici compilarono statistiche per le quali ci furono nella prima settimana 4000 decessi dovuti ad infezioni dell'apparato respiratorio, ipossia, bronchiti acute e polmoniti. Ulteriori 8000 morti seguirono nelle settimane e nei mesi successivi.



Prima della seconda guerra mondiale circa la metà dell'energia utilizzata negli Stati Uniti derivava dal carbone; nel 1955 meno di un terzo. Nel 1956 anche la città di Londra aveva ormai bandito il carbone.

Ci è voluto meno di un secolo perché il petrolio eclissasse il carbone. La causa non sta solo nella potenza e nella versatilità del petrolio, che ha una miriade di applicazioni, ma anche dal fatto che le ricchezze accumulate con la sua estrazione hanno scatenato una feroce competizione fra le compagnie, il cui unico fine era il profitto.

(tratto da "Oro nero" di Sonia Shah)



Nota 1

Il metano è presente normalmente nei giacimenti di petrolio e quando si estrae il petrolio, risale in superficie anche il metano, in media in quantità pari allo stesso petrolio. Se i giacimenti sono lontani dai luoghi di consumo o situati in mare aperto, risulta quasi impossibile usare quel metano, che pertanto viene bruciato all'uscita dei pozzi senza essere utilizzato in alcun modo oppure viene ripompato nei giacimenti mediante compressori centrifughi favorendo l'uscita del greggio grazie alla pressione.
Il costo del metano trasportato nei gasdotti è circa quattro volte superiore a quello del petrolio perché la densità del gas è molto minore e quindi molto metano estratto non viene utilizzato.




Molecola di Metano

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