mercoledì 12 ottobre 2011

orologi ad acqua nell'antichità

Maledetto chi ha inventato l'orologio
e più maledetto chi ha messo la meridiana!
Mi ha fatto a pezzi la giornata, povero me.
Da ragazzo, la pancia era la sola meridiana,
la migliore, senza confronto, e la più esatta.
Quando dava il segnale, si poteva mangiare (se mai ce n'era):
adesso, anche quel che c'è non si mangia, se non piace al sole.


Questo frammento, riportato da Aulo Gellio e tratto da una commedia perduta di Plauto, riferisce il lamento del personaggio davanti all'orologio solare posto nel Foro (piazza). In un celebre passo del libro "Naturalis Historia", Plinio aveva riassunto il laborioso percorso compiuto dal popolo romano per arrivare a disporre di un congegno che permettesse di conoscere con esattezza l'ora. Apprendiamo così che al tempo delle leggi delle XII tavole (450 a.C.), alba e tramonto costituivano i soli traguardi temporali, cui in seguito si sarebbe aggiunto il mezzogiorno, annunciato pubblicamente da un messo nel momento in cui il sole compariva tra i Rostri e la Grecostasi.
L'ufficiale dei con-

(Rostri (in latino Rostra) erano le tribune nel Foro Romano dalle quali i magistrati tenevano le orazioni.)
(Ricostruzione con al centro i Rostri)


Allo stesso modo, orientandosi con altri punti fissi, si annunciava l'ultima ora del giorno.
Secondo Varrone, questa situazione sarebbe durata fino a quando il primo orologio pubblico fu posto sopra una colonna dei Rostri nel corso della prima guerra punica successivamente alla presa di Catania nel 263 a.C.. Plinio è perfettamente consapevole del fatto che questo orologio solare non poteva funzionare con precisione; costruita per la latitudine di Catania, questa meridiana era stata trasferita a Roma, dove sarebbe rimasta in uso per 99 anni fino a quando i censori in carica nel 164 a.C. non ne fecero costruire una nuova, di maggior precisione.


Appare evidente che quando i Romani introducono nelle loro città le meridiane, vi è un bagaglio di osservazioni e di conoscenze ormai acquisito. Chiunque ha verificato la diversa lunghezza delle ore di luce nel corso dell'anno, il moto apparente del Sole e di altri corpi celesti. Constatazioni di questo tipo erano particolarmente evidenti adoperando lo gnomone, che nella sua accezione più semplice era costituito da un bastone piantato verticalmente nel terreno.
Da osservazioni scaturite a partire dall'utilizzo dello gnomone sarebbe derivato l'orologio solare vero e proprio, che si basava sull'intuizione di misurare il tempo come cambiamento di uno spazio. Nelle meridiane il moto apparente del Sole viene osservato per mezzo di uno stilo la cui ombra è proiettata su una superficie sulla quale sono segnate le linee orarie.
Le meridiane più comuni erano quelle dalla forma emisferica con un indice che proiettava l'ombra sulle linee orarie, ma gli scavi archeologici dimostrano che nelle città romane vennero adoperati orologi solari dalle forme più disparate.


Al tempo di Ottaviano Augusto Roma si dotò della più grande meridiana mai costruita, di tipo orizzontale (dell'orologio solare sopravvive attualmente lo gnomone cioè l'obelisco di Montecitorio).


Questa immagine rappresenta il Campo Marzio dopo gli interventi di Augusto. In primo piano si notano l’obelisco e il quadrante dell’Horologium Augusti, a destra del quale si alza l’Ara Pacis. Più lontani si riconoscono il Mausoleo e l’ustrinum; sulla destra si vede il nastro della via Flaminia dirigersi verso Ponte Milvio e il Nord, mentre a sinistra si riconosce un’ansa del Tevere.

Secondo gli autori più moderni (F W Maes, P Heslin), l’Horologium era costituito, oltre che dall’obelisco che produceva l’ombra, esclusivamente dalla linea meridiana, quella raggiunta dall’ombra a mezzogiorno. Era, infatti, improbabile che si potesse realizzare un’area lastricata di tali dimensioni e, soprattutto, mantenerla visibile in un’area interessata frequentemente dalle inondazioni del Tevere. Inoltre, non avrebbe avuto molto senso installare un orologio vero e proprio in un’area che era all’epoca ben al di fuori delle mura e lontana dal centro della vita cittadina. Al contrario, nei fori erano presenti numerosi orologi solari, ognuno dei quali, ad ascoltare le lamentele dell’epoca,  segnava un’ora differente.

L’obelisco era stato realizzato originariamente all'epoca del faraone Psammetico II (595-589 a.C.), ed era collocato nella città di Heliopolis in Egitto.
Fu portato a Roma nel 10 d.C. da Augusto, insieme all'obelisco Flamino, e collocato come gnomone dell'Orologio di Augusto in Campo Marzio. La grande meridiana, frutto dell'ingegno del matematico Facondio Novo, era costituita da una linea di bronzo incastonata su delle lastre di travertino e lunga circa 75 metri. Ai lati della stessa erano indicati, con iscrizioni bronzee in greco, i segni zodiacali, realizzando così un preciso calendario solare sfruttando la diversa altezza del sole nelle varie stagioni. Rovinato al suolo in un periodo imprecisato nell’alto medioevo, l’obelisco venne ritrovato ridotto in più tronconi all’inizio del ‘500. A causa delle pessime condizioni in cui versava venne di nuovo abbandonato e riscoperto all’inizio del ‘700. Nel 1792 per volere di Pio Vi venne restaurato ed eretto nel luogo in cui è attualmente. Venne anche realizzata una linea meridiana che però, costruita in maniera inadeguata, forniva un’ora errata. La linea attualmente presente, di grande precisione, è stata realizzata nel 1998, in occasione del rifacimento della pavimentazione della piazza.


Il frammento di linea meridiana portato alla luce è formato da una linea di bronzo incastonata su delle lastre di travertino. Delle tacche di bronzo indicano la differente lunghezza dell’ombra dell’obelisco al passare dei singoli giorni. Sul lato orientale della linea sono presenti le indicazioni dei segni zodiacali 



Perché venne realizzata una tale opera? Ovviamente si possono fare solo delle ipotesi. La tecnica costruttiva delle meridiane, mutuata da quella greca,  era all’epoca abbastanza evoluta. Vitruvio nel IX libro del de Architectura elenca ben 13 tipologie differenti di orologi solari. Quello che rende unico questo strumento astronomico rispetto agli altri che erano presenti a Roma, oltre alla dimensione, è la sua capacità di funzionare con precisione come calendario. Tre anni prima della sua realizzazione, Augusto aveva ereditato da Lepido la carica di Pontefice Massimo e tra i compiti di questo magistrato c’era quello di sovrintendere al calendario. Nell’espletamento di questo incarico Ottaviano corresse la riforma del calendario attuata da Giulio Cesare e che era stata applicata in maniera erronea (un anno bisestile ogni tre, invece che ogni quattro anni). In ricordo della riforma gli venne dedicato un mese, Sestilius, che divenne Augustus, e la sua lunghezza fu portata a 31 giorni, determinando la irregolare distribuzione di mesi lunghi e brevi che ancora abbiamo.
(da Roma Sotterranea, Bruno Caracciolo)

Le complesse norme di astronomia e matematica che determinano il corretto funzionamento delle meridiane, legato alla necessaria presenza del Sole, non potevano risolvere il problema della misura giornaliera del tempo. Perfettamente consapevole di questo limite delle meridiane, che non possono funzionare neanche nelle ore di oscurità, Plinio afferma che i Romani, dopo la costruzione dell'orologio solare del 164 a.C., dovettero attendere ancora 5 anni per conoscere l'ora con esattezza, cosa che avvenne nel 159 a.C. quando fu fabbricato un orologio ad acqua, posto in luogo chiuso.

Certamente gli orologi ad acqua scaturiscono da sperimentazioni e perfezionamenti effettuati osservando il funzionamento delle prime clessidre: il termine greco klepsùdra significa "ladro d'acqua" e allude al lento gocciolare del liquido da un contenitore all'altro. La clessidra è probabilmente il più antico strumento, assieme all'asta gnomonica, per la misura di intervalli di tempo.

clessidra di Tolomeo

Nella sua fisionomia più semplice la clessidra consiste in un recipiente con un piccolo foro all'estremità inferiore, posto di solito lateralmente.
Questo particolare orologio, che non misura le ore del giorno ma gli intervalli di tempo, ebbe un uso prolungato nei secoli risultando particolarmente utile quando si doveva regolare la durata di un evento (nelle cause giuridiche per regolare la durata degli interventi).


Un'iscrizione proveniente dall'isola di Iasos indica che la durata degli interventi nelle assemblee pubbliche era regolata da uno di questi congegni, di cui si fornisce l'altezza da terra, di sette piedi.
Le clessidre venivano adoperate per regolare la durata dei pubblici dibattimenti; da Eschine ( Atene389 a.C. – 314 a.C. fu un uomo politico e un oratore ateniese) apprendiamo che la prima clessidra era per l'accusa, la seconda per l'accusato, la terza per i giudici. L'uso di questo strumento per misurare la durata delle dispute legali dovette diffondersi anche a Roma.

Questi dispositivi erano adoperati anche per regolare la durata delle veglie notturne dei soldati di guardia o i ritmi veglia-preghiera nei monasteri.

Da osservazioni scaturite dall'utilizzo delle clessidre è derivato un prototipo dell'orologio idraulico vero e proprio, originato dalla suggestione che il fluire dell'acqua, con la sua uniformità, evocava nei confronti dello scorrere del tempo. In sostanza dal recipiente che, a prescindere dalla forma doveva semplicemente svuotarsi, si passò alla costruzione di un contenitore caratterizzato dalla presenza, all'interno, di una serie di solchi paralleli tra loro e con il piano dell'acqua: di questo tipo sono le clessidre egizie a forma di vaso in pietra, con un piccolo foro sul fondo e le pareti interne graduate con una serie di incisioni parallele.


Per misurare si faceva scendere la mano sulla parete interna del vaso, contando i solchi e arrestandosi quando si toccava l'acqua. La precisione di questi orologi dipendeva dalla regolarità del flusso di acqua in uscita, che variava al diminuire del livello (perché variava la pressione) e dalle incrostazioni che tendevano a formarsi sul fondo del recipiente e nel foro. Una soluzione efficace si rivelò quella di inclinare le pareti del recipiente (tronco di cono) in modo che il diametro del bordo superiore fosse il doppio di quello inferiore.
Un papiro del III secolo d.C. (rinvenuto ad Ossirinco) fornisce indicazioni per la costruzione di una clessidra, di forma tronco-conica, con raggio superiore di 12 dita e quello inferiore di 6, per una altezza di 18 dita.

A queste particolari ricerche si era dedicato CTESIBIO (ingegnere e inventore greco, si presume sia nato intorno al 285 a.C. ad Atene e morto nel 222 a.C. ad Alessandria d'Egitto) alla cui esperienza sembra doversi attribuire la trasformazione della clessidra in un vero e proprio orologio ad acqua. Ctesibio si era dedicato allo studio dei meccanismi che determinano il funzionamento di congegni automatici, aveva compiuto ricerche di pneumatica e di idraulica. Le sue opere sono andate perdute, sostituite probabilmente dalle raccolte enciclopediche eseguite dai suoi successori nella stessa Alessandria.


Ctesibio aveva capito che il flusso di acqua che esce dal contenitore dipende dall'altezza del livello nel recipiente e che la quantità di acqua in uscita diminuisce man mano che il recipiente si svuota.
Per risolvere questo problema venne introdotta una clessidra ad uscita costante di acqua. L'orologio è composto da tre recipienti posti uno sull'altro: 


Il superiore versa acqua in quello inferiore (troppo pieno) che presenta due aperture, una in alto, per mantenere costante il livello e una in basso a flusso omogeneo che versa nel terzo contenitore, che registra il trascorrere del tempo su una scala graduata o con altri sistemi più complessi.
Ciò che viene misurato è il tempo impiegato dall'ultimo contenitore (quello in basso) per riempirsi e l'ora sarà determinata osservando le linee parallele incise lungo il bordo del recipiente. Purtroppo la perdita del testo originale ci impedisce di conoscere con esattezza i termini tecnici adoperati dallo studioso alessandrino per descrivere il suo orologio ad acqua, che sostanzialmente si fondava su questo schema che VITRUVIO (architetto e scrittore romano, attivo nella seconda metà del I secolo a.C.) avrebbe riproposto in un suo libro.
Secondo il testo vitruviano, il primo particolare cui Ctesibio avrebbe prestato attenzione sarebbe stato il "foro" da cui l'acqua fuoriesce, ottenuto adoperando un pezzo d'oro oppure una gemma perforata, in modo da evitare il rischio di aderenze e formazione di incrostazioni calcaree.
L'orologio ad acqua di Ctesibio è formato da due recipienti posti uno sull'altro. Il superiore, alimentato da un flusso d'acqua continuo, è dotato di due aperture che servono a mantenere costante il livello: da cui il liquido fluisce nel recipiente sottostante, che si riempie progressivamente. Nel recipiente inferiore si trova un galleggiante di sughero, sul quale è fissata un'asta verticale con un indice trasversale che salendo, spinta dall'acqua, fa scorrere l'indice sulla scala graduata segnaore.

 (da "orologi ad acqua nell'antichità greco-romana" di Giovanni Pasquale)

(da nonciclopedia.wikia.com)
Nell'illustrazione, l'indice si sposta su un cilindro (tamburo graduato) perché l'orologio segna le ore diurne. Se partiamo dal presupposto di dividere il dì in un numero costante di ore, queste varieranno di durata col variare delle stagioni, in inverno saranno più brevi e in estate più lunghe. Ogni mese il tamburo veniva fatto ruotare per adeguare la misurazione dell'indice al variare della durata delle ore diurne.

In questo progetto, il serbatoio a livello costante viene regolato da un cono di ottone che chiude o apre il tubo di alimentazione dell'acqua.


Questo orologio è costituito da due serbatoi: un "troppo pieno" B e uno di misura E con il galleggiante e l'asta verticale. Come evidenzia la figura, l'asta è formata da una serie di denti (cremagliera) che ingranano con quelli di un disco G dotato di una lancetta che muovendosi va ad indicare l'ora sul quadrante.

RICORDA: Greci e Romani usarono le "ore temporali": il giorno e la notte venivano ambedue suddivisi in dodici  parti, cominciando rispettivamente dall'alba e dal tramonto. Così la prima ora del giorno corrispondeva all'alba, la sesta ora più o meno a mezzogiorno, la dodicesima al tramonto ed altrettanto, ma partendo dal tramonto, avveniva per la notte. Questa suddivisione basata sulle ore di luce e quelle di buio faceva sì che la durata delle ore estive non fosse uguale a quelle invernali e quella delle ore di luce era diversa dalle ore di buio. Tanto per fare un esempio, d'estate un'ora di luce poteva durare 80 minuti e 40 invece quella di buio.
I Romani usavano anche suddividere giorno e notte in quattro parti di tre ore ciascuno. La Chiesa abbinò varie ore della giornata (ore canoniche) a determinati momenti di preghiera, per cui si avevano:
  • Mattutino: all'alba
  • Prima: al levar del sole
  • Terza: a metà del mattino
  • Sesta: a mezzogiorno
  • Nona: alla nona ora a metà del pomeriggio
  • Vespri: al tramonto
  • Compieta: un'ora dopo il tramonto
  • Notturno: trascorsi gli otto dodicesimi della notte
Tutte queste ore, a parte quella del Notturno, venivano annunciate dal suono delle campane che, con l'andar del tempo, assunsero proprio la funzione di orologio pubblico.
Nel XIV secolo arrivano i primi orologi meccanici e con loro si comincia a contare le ore da una a ventiquattro, dal tramonto al tramonto successivo (almeno in Italia, Boemia, Slesia e Polonia), punto di partenza che variava nel corso dell'anno. Gli orologi dovevano esser regolati manualmente per adeguarli all'ora di partenza variabile. Nel resto dell'Europa, a partire dalla Francia, con l'avvento degli orologi il giorno venne invece suddiviso in due periodi di 12 ore uguali, che partivano a mezzogiorno e a mezzanotte (ora "alla francese" o "all'oltramontana"). In questo modo la misura del tempo non dipendeva dalla durata del giorno e gli orologi non richiedevano correzioni quotidiane. L'introduzione in Italia di questo sistema avvenne in modo graduale e con molte opposizioni. Venne introdotto a Firenze nel 1749, a Parma nel 1755, a Genova nel 1772 e a Milano nel 1786. Ci volle l'occupazione francese per imporlo al resto della penisola, ma ancora nel XIX secolo era da qualcuno utilizzato il sistema precedente. 
(da Wikipedia.org)


A:  fontana con serbatoio a livello costante (troppo pieno)
M: tubo di alimentazione
D: galleggiante 
C: asta che sorregge un automa con indice segnaore
F-E: sifone (vedi nota al termine)
K: tamburo a 6 scomparti
I-H-G: ruote dentate
L: asta che ruota il tamburo delle ore

Il cilindro verticale si riempie completamente in un giorno. Quando il livello del cilindro raggiunge la cresta del sifone, l'acqua si trasferisce dal cilindro al tamburo a scomparti. Lo scomparto che si riempie, per effetto del peso dell'acqua e del baricentro spostato sulla verticale, fa compiere al tamburo 1/6 di giro ogni giorno.
Il tamburo a 6 scomparti compie un giro completo ogni 6 giorni.
Le ruote dentate trasferiscono il movimento all'asta L che fa ruotare il tamburo delle ore. Considerato il numero dei denti, la ruota G e di conseguenza l'asta L compie un giro completo in un anno.

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Mentre gli arabi hanno conservato la memoria di queste macchine, nel mondo romano non restano tracce. Per quanto concerne la diffusione degli orologi ad acqua nella Roma antica, ci sono indizi che portano ad ipotizzare che questi dispositivi si siano diffusi almeno tra le classi elevate. E' quanto deduciamo da un passo del Satyricon di Petronio, in cui si legge:

"...a casa di chi sei oggi? Del ricchissimo Trimalcione! C'è un orologio nella sua sala da pranzo, dotato di un suonatore di tromba tale che egli può conoscere in ogni momento quanto sta invecchiando."

Un brano di Luciano (Ippia, VIII), menziona un orologio che, azionato dall'acqua, indicava le ore acusticamente e visivamente:

"...e Ippia ci mostrò quest'opera... ed aveva due dispositivi per indicare l'ora, uno che funzionava per mezzo dell'acqua e faceva rumore, l'altro che funzionava per mezzo della luce solare."

In definitiva, però, il celebre passo in cui Seneca afferma che: "... è più facile mettere d'accordo due filosofi che due orologi", sembra portare a concludere che non si arrivò ad una buona precisione per la misura del tempo giornaliero. Tuttavia, gli orologi ad acqua ideati in ambiente alessandrino e poi diffusi a Roma come in altre regioni del Mediterraneo, ebbero lunga vita, rimanendo in uso fino al XVI secolo.

(da "Orologi ad acqua nell'antichità greco-romana", di Giovanni De Pasquale)


Il sifone

Il sifone è un tubo ad U rovesciata per travasare liquidi. In effetti, il sifone non esiste di per sé; è il risultato di come si piega un tubo, per travasare un liquido contenuto in un recipiente in un altro posto più in basso, senza dover rovesciare parzialmente il primo recipiente.
Vi sono opinioni discordanti riguardo al processo per cui il liquido presente nel recipiente superiore raggiunge la cresta del sifone. Si suppone che teoricamente le forze di coesione molecolare interne siano sufficienti per sollevare il liquido lungo il tubo fino alla cresta del sifone
Una volta innescato, un sifone non richiede apporto di energia per mantenere il flusso del liquido. E questo è un paradosso: qual è la sorgente di energia per travasare il liquido?

La risposta può trovarsi con un modello meccanico consistente nell'immaginare un lungo treno snodato e privo di attriti che si estende da una pianura, raggiunge una collina e da questa scende in una valle sotto la pianura. Se una parte del treno prevale in lunghezza nella valle sotto la pianura, è intuitivo che la parte del treno che scivola nella valle può trascinare, anche senza la forza motrice, il resto del convoglio sulla collina e da qui giù nella valle. I vagoni sono collegati tra loro tramite ganci di trazione; così, la cosa non evidente è che cosa tiene insieme i "vagoni" quando il "treno" in realtà è un liquido contenuto in un tubo. Ebbene, in questa analogia, sono la pressione atmosferica e le interazioni molecolari che tengono insieme il treno d'acqua. Quando le interazioni molecolari vengono a mancare, per esempio - come già anticipato - a causa della formazione di bolle di cavitazione, il flusso del liquido si interrompe.

Dunque, il sifone funziona a spese dell'energia potenziale gravitazionale in quanto il punto di fuoriuscita è più basso del serbatoio ed il flusso di liquido che fuoriesce genera nel tubo il vuoto parziale necessario per risucchiare il liquido dal serbatoio. 
L'altezza massima del punto intermedio (la cresta) è limitata dalla pressione atmosferica (che assicura la necessaria coesione) e dalla densità del liquido. Al punto massimo del sifone, la gravità tende a trascinare il liquido giù in entrambi i sensi, generando un vuoto parziale. La pressione atmosferica sulla superficie del serbatoio più alto è trasmessa attraverso il liquido nel serbatoio e si propaga nel tubo del sifone. Quando la pressione esercitata dal peso dell'altezza della colonna di liquido contenuta nei due bracci eguaglia la pressione atmosferica, si realizza un vuoto parziale e l'effetto del sifone è concluso. Per l'acqua a pressione ordinaria, l'altezza massima è approssimativamente 10 m ; per il mercurio è di 76 centimetri.

http://www.nemesi.net/sifone.htm



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